Engelszell e la chiusura del birrificio trappista austriaco
“Ringrazio i fratelli trappisti per il loro lavoro negli ultimi 100 anni. Desidero ringraziare i responsabili dell’Ordine per tutto il loro impegno e il mio apprezzamento per la decisione chiara e sicuramente non facile da prendere. Auguro ai monaci tutto il meglio e le benedizioni di Dio per il futuro. La Conferenza degli ordini austriaci continuerà ad essere a disposizione dei trappisti con aiuto e consiglio e aiuterà dove è richiesto aiuto”
Con queste parole l’abate Korbinian Birnbacher, presidente della Conferenza degli ordini austriaci, comunica ufficialmente l’imminente chiusura dell’Abbazia di Engelszell: i pochi monaci presenti verranno trasferiti presso un’altra sede monastica, a causa dell’impossibilità di poter proseguire al sostentamento della comunità.
Questa decisione – comunicata all’abate da Dom Bernardus Peeters di Engelszell – porterà alcuni cambiamenti nella vita dei monaci, che possono apparire minori rispetto all’impatto che la scelta (obbligata) recherà alla leggendaria cerchia dei birrifici trappisti. Il motivo è semplice: una delle più fiorenti attività del monastero era (è ora doveroso riferirsi al passato) la produzione della birra all’interno degli edifici del complesso religioso, che grazie all’osservanza dei principi designati dalla ATP, garantiva alla birra locale il prestigioso marchio esagonale posto su ogni singola bottiglia.
L’inclusione del birrificio locale nei ranghi dei birrifici trappisti – Stift Engelszell – consentiva la vendita delle birre, classificate come trappiste, condizione della quale possono godere solo una dozzina di birrifici in tutto il mondo.
Engelszell lascia un grande vuoto: per più di un decennio il birrificio situato all’interno del monastero è stato l’unica attività trappista al mondo di lingua tedesca, diventando un vanto per tutta l’Austria.
Le motivazioni
Nonostante i risaputi e decisivi cambiamenti dell’economia mondiale, che hanno notevolmente interessato in maniera incisiva il settore della produzione di birra, le motivazioni della cessazione dell’attività austriaca sono semplici: non ci sono più monaci.
L’atteso ricambio generazionale all’interno della congregazione religiosa è mancato, riducendo il personale residente nel monastero a pochi monaci, che non possono garantire la forza-lavoro necessaria al sostentamento della comunità. Per tale motivo i monaci si trasferiranno presso altre comunità religiose, lasciando il complesso visitabile ma inattivo.
Le motivazioni lasciano l’amaro in bocca – e in questo caso il luppolo non è il responsabile: se molti birrifici in difficoltà hanno cessato l’attività, non è per mancanza di personale, quanto più per i bilanci che non riescono più a reggere i rincari delle materie prime: con queste condizioni c’è poco da fare. Ma se la chiusura è motivata dall’assenza di personale – che nel caso di un birrificio trappista, va ricordato, deve trattarsi di monaci osservanti – il dispiacere è maggiore, in quanto evitabile.
Illustri predecessori
La chiusura di Engelszell apre il dibattito circa la crisi dei birrifici trappisti: se l’appeal della celebre birra con il marchio esagonale rimane invariato, non si può che constatare che la dipartita di Engelszell segue – in soli due anni – quella di altri birrifici trappisti.
Achel nel 2021 e Spencer nel 2022 hanno preceduto i monaci austriaci, e ci auguriamo che il trend aperto dal birrificio belga di Achel non prosegui nel 2024. Se la decisione inattesa di Spencer si è rivelata una conseguenza di investimenti non all’altezza delle aspettative – complice la crisi innescata dalla recente pandemia – le motivazioni di Engelszell sono le medesime che hanno costretto al cessazione della produzione delle birra di Achel.
Business o vocazione
Che siano i bilanci o la mancanza di monaci, la crisi dei birrifici trappisti è aperta, nonostante la grandissima richiesta che tutt’ora investe le birre trappiste. L’impresa di Chimay – che ha trattato la partnership con gli organizzatori del Giro d’Italia 2023, diventando la birra ufficiale della manifestazione – ha riacceso i riflettori sul grande impatto culturale e commerciale che la birra trappista può avere, con tutti i limiti imposti dallo statuto trappista, che consente la vendita dei prodotti ufficiali solo se i guadagni vengono utilizzati per il sostentamento delle attività religiose e in opere caritatevoli.
Se è possibile stilare bilanci e prevedere l’andamento dei mercati, è impossibile analizzare la vocazione (per fortuna). L’abbandono dei monasteri e la diminuzione dei giovani intenti alla vita monastica apre un dibattito – esterno a conti e vendite – che dovrebbe essere analizzato in altri ambiti, con molto interesse.